Concept

Introduzione

Nel suo “Critica della politica estera” Ekkehard Krippendorff ha sviluppato il concetto di neutralità come un possibile paradigma di politica estera, identificandone i prerequisiti necessari per una radicale trasformazione delle relazioni internazionali, sulla base del principio e della pratica della nonviolenza.

Secondo Krippendorff, “Una politica estera neutrale nel senso di un contributo costruttivo alla formazione di un ordine politico della società internazionale ha nella prassi un importante punto debole, le mancano strumenti alternativi. Finché la neutralità sarà soltanto una variante tattica della strategia di autoconservazione degli stati essa non si sentirà obbligata a sviluppare nuovi metodi per una politica estera “dissidente”. Ancora, “Per una “vera neutralità” le attività delle organizzazioni non governative andrebbero viste non come il completamento di una politica estera non violenta ma come l’essenza di essa.”

In una fase storica come la attuale attraversata da una profonda crisi del modello multilaterale tradizionalmente inteso, dalla trasformazione del concetto e della pratica stessa della guerra, ormai asimmetrica, umanitaria, “contro il terrorismo”, o per la prevenzione di flussi migratori, è necessario che il movimento pacifista si impegni a recuperare le elaborazioni svolte sul tema della neutralità in quanto paradigma di politica estera e/o pratica ed approccio scelto nella gestione e risoluzione di conflitti.

In Medio Oriente e Nord Africa vediamo il sovrapporsi a conflitti locali ed anche ai processi rivoluzionari o di democratizzazione, il dispiegarsi del conflitto egemonico tra potenze globali e regionali che li sovradeterminano rendendo sempre più difficile l’identificazione delle parti e portando alla difficoltà con cui il movimento pacifista sta affrontando le sfide poste dal tendenziale superamento dell’unipolarismo americano.

Va notato come il concetto di neutralità incarnato in passato da stati quali Svezia, Norvegia, o Finlandia, Irlanda da una parte e Svizzera ed Austria dall’altra sia stato progressivamente eroso, o rimesso in discussione. Da una parte in seguito all’adesione di alcuni di questi paesi all’Unione Europea e quindi al sistema di sicurezza collettiva da esso previsto ed anche a vario livello all’impianto di sicurezza collettiva della NATO. Dall’altra da un dibattito interno sulla portata della neutralità armata (Svizzera), o di altre modalità (Austria ed Irlanda) quali la partecipazione a operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite o alla “guerra contro il terrorismo”.

Per contro, nuovi paesi hanno scelto la neutralità quali il Turkmenistan o la Moldavia ed altri quali il Costa Rica ne hanno fatto elemento costituente del proprio sistema di leggi.

Negli anni ’50 la conferenza di Bandung aveva introdotto l’idea di neutralismo come principio ispiratore della politica estera del c.d. “Terzo mondo” nell’epoca della decolonizzazione. Il concetto, annacquato nel non-allineamento dell’omonimo movimento, sarà trascinato nella crisi del bipolarismo, e ispirerà il rapporto Brandt “Un programma per la sopravvivenza” degli anni ’70.

In Italia, il tema della neutralità (principio riconosciuto dal diritto internazionale con annessi diritti e doveri per gli stati che ne facciano opzione) ha attraversato il dibattito a sinistra prima del primo conflitto mondiale, un patrimonio culturale che vale la pena di rivisitare ed attualizzare insieme al dibattito nella socialdemocrazia europea di inizio secolo.

Lo stesso movimento pacifista del più recente dopo guerra, ne ha fatto una delle chiavi di volta del proprio pensiero, a partire dal pensiero di Aldo Capitini e poi del Movimento per il disarmo unilaterale degli anni ’80, una neutralità che si traduceva nei fatti ed in primis nella richiesta di fuoriuscita dalla NATO e di chiusura delle basi straniere nel paese.

Importanti elaborazioni sulla neutralità attiva vennero anche dal movimento femminista basti pensare alla proposta ed alla definizione date dalla Convenzione Permanente delle donne contro la guerra. La neutralità sarebbe quindi per dirla con le parole di Lidia Menapace “la posizione di un soggetto politico (uno stato) che dichiara di rinunciare per se’ all’uso della guerra, e di vincolarsi nei confronti della comunità internazionale a non fare politiche aggressive che possono sfociare nel conflitto armato, e di consentire alla comunità internazionale di intervenire nei propri confronti in caso di violazione degli impegni presi con censure, rottura di relazioni diplomatiche o commerciali, embargo ecc. A sua volta il territorio neutrale non ospita basi militari di nessuno, non consente passaggio di truppe a terra ne’ di aerei.”

A questa scelta di non partecipazione e non-sostegno alla logica della guerra se ne accompagna una di lavoro attivo, nelle parole del Movimento Nonviolento “Opporsi alla guerra, a tutte le guerre; soccorrere le vittime, tutte le vittime; contrastare tutte le uccisioni, costruire la convivenza. Questo è neutralità. Questa è nonviolenza.

O come specifica Etienne Balibar riferendosi al possibile ruolo dell’Europa come “mediatore evanescente” nella gestione e prevenzione dei conflitti nel bacino Mediterraneo: “non è un principio di `non-intervento’ nei conflitti violenti che oggi costituiscono una parte crescente della politica mondiale. Deve essere, al contrario, un principio di intervento, non solo `umanitario’ ma rigido attraverso i mezzi che oggi forniscono l’interpenetrazione di processi economici, tecnologici e culturali, senza escludere le `forze di interposizione’ quando le condizioni della loro presenza siano verificate. Ma sembra che l’Europa potrebbe trarre dalla propria esperienza e dal suo stesso progetto di costruzione l’idea di un rovesciamento sistematico delle relazioni tra il `locale’ e il `globale’ nella procedura di risoluzione dei conflitti armati che mettono l’una di fronte all’altra comunità etniche, culturali o religiose allo stesso tempo profondamente ineguali ma connesse le une con le altre.”

L’approccio di neutralità attiva è stato riscoperto in occasione del conflitto ucraino quando da alcuni settori del mondo nongovernativo si avanzò l’ipotesi di sostenere il riconoscimento dell’Ucraina come stato “neutrale”, “cuscinetto” tra Russia ed Europa, né più e né meno come la Finlandia del periodo della guerra fredda.

Più di recente è stato rilanciato da Un Ponte per nel suo documento “L’opzione per una neutralità attiva in Libia”, nel quale si propongono una serie di passi, quali la de-escalation della logica di guerra e di uso della forza , la neutralità rispetto alle fazioni che si opponevano al governo di Al Serraj, e invece controproporre una strategia di costruzione della pace che preveda anzitutto la convocazione di un tavolo che veda riuniti tutti i soggetti politici e sociali libici, le tribù, i governatori locali e quelle strutture sociali ed amministrative e di società civile che dovranno costituire l’ossatura del nuovo assetto di “governo” del paese. Neutralità attiva significa in questo caso creare le condizioni per un ruolo terzo di mediazione che prevede l’abbandono di ogni opzione militare, e mantenere misure volte a prevenire il flusso di armi, tra cui l’embargo all’export di armamenti verso la Libia, assieme al sostegno ad attività di peacebuilding, anche attraverso il coinvolgimento delle strutture dedicate delle Nazioni Unite quali la UN Peacebuilding Commission.

Le ragioni del convegno

Crediamo che un’occasione di approfondimento, dialogo ed interlocuzione all’interno del movimento pacifista sul tema della neutralità possa fornire un’occasione utile per rafforzare sinergie, identificare punti di forza comuni, ed allo stesso tempo immaginare concetti e quadri di riferimento concettuale che possano aiutare a superare contrapposizioni ancorate a visioni del mondo ormai non in grado di cogliere la complessità della sfida che ci troviamo a dover affrontare.

Per questo proponiamo un seminario-convegno nazionale nel quale si possano discutere vari aspetti relativi alla neutralità attiva, da quello storico, al significato della neutralità nelle relazioni internazionali, per poi interrogare sul tema vari esponenti del mondo pacifista. A questo primo appuntamento, che produrrà una pubblicazione degli atti, ne potrebbe seguire un secondo, più pratico e seminariale nel quale i soggetti che oggi praticano la neutralità attiva nelle loro attività e campagne si confrontano e scambiano esperienze ed ipotesi di lavoro. Questo “workshop” potrebbe poi produrre un documento-manifesto per un’Italia neutrale, per la pace, il disarmo e la nonviolenza nelle relazioni internazionali” o simile.

Le questioni centrali che affronteremo

Cosa significa oggi essere neutrali? E come si può da una posizione di adesione ad alleanze atlantiche quali la NATO o a sistemi di sicurezza collettivi quali quelli previsti dall’Unione Europea, costruire una prospettiva di neutralità attiva?

Quali ne possono essere le caratteristiche: uscita progressiva dalla NATO? Come? Si può ad esempio iniziare proibendo il dislocamento di bombe atomiche USA nel quadro dell’accordo di Nuclear Sharing della NATO e quindi uscendo dallo stesso ed allo stesso tempo chiedendo che l’Italia da stato membro della NATO inizi un percorso verso la neutralità declassando la propria partecipazione allo status di membro della Partnership for Peace e in ossequi all’art 11 della Costituzione, impegnarsi a non partecipare ad alcuna operazione bellica o armata (anche nel caso di avallo del Consiglio di Sicurezza) e privilegiando invece la sicurezza umana, e gli strumenti di sicurezza “civile”?

Per quanto invece concerne le pratiche proprie della neutralità, è possibile mettere a sistema le varie attività e proposte del movimento pacifista, dalla riduzione delle spese militari, al disarmo, ai corpi civili di pace, alla solidarietà con le popolazioni vittime delle guerre, alle proposte di difesa civile nonviolenta e di mediazione “dal basso dei conflitti e “peacebuilding” quali espressioni concrete di una politica estera di neutralità attiva? Sarebbe necessario rilanciare a tal riguardo alcune proposte quali la conversione dell’industria bellica ed il disarmo nucleare come propedeutiche rispetto ad una proposta concreta di neutralità attiva? Ed in che misura la ripresa del concetto di neutralità può essere utile ipotesi di lavoro anche per i movimenti di trasformazione sociale e democratica in Medio Oriente e Nord Africa? E come si intreccia la neutralità attiva verso i conflitti di potenza con i conflitti politici agiti da attori progressisti locali o con la minaccia dei nuovi fondamentalismi?

In sintesi, il percorso che si propone intende esplorare la neutralità attiva in quanto principio ed in quanto prassi.

In quanto principio ci si propone di comprenderne i fondamenti giuridici, la correlazione con l’art 11 della Costituzione, le ipotesi di lavoro per una trasformazione dello status dell’Italia nel quadro internazionale e multilaterale attuale e il significato “operativo” di neutralità attiva dalla revisione delle alleanze e della partecipazione dell’Italia alla NATO, alle possibili modalità di partecipazione ad operazioni di peacebuilding, e peacekeeping e polizia internazionale nel quadro delle Nazioni Unite, alla presenza delle basi americane, a politiche di disarmo, riduzione delle spese militari, conversione dell’industria bellica, regolamentazione ed embargo del commercio di armi.

In quanto prassi ci si intende confrontare sulle varie iniziative in corso nell’ambito del movimento pacifista. Sulle esperienze passate e presenti di peacebuilding e neutralità attiva “praticata” dal basso, come nel caso dei Balcani o in Iraq, sul ruolo dei corpi civili di pace e della difesa civile nonviolenta, sulla cooperazione e solidarietà internazionale.